Considerando che la popolazione mondiale continuerà ad aumentare (saremo 9 miliardi nel 2050), è logico pensare che la domanda di energia crescerà in maniera esponenziale, con picchi che potranno mettere in seria crisi gli impianti attualmente in funzione. Questo anche perché le infrastrutture attuali, da sole, non bastano e avrebbero bisogno di notevoli investimenti di denaro per funzionare meglio, ma nella condizioni di crisi in cui versiamo, il passo in questa direzione non è affatto scontato. Il problema potrà essere superato anche grazie al contributo delle fonti rinnovabili che negli ultimi dieci anni hanno raddoppiato il loro peso sul totale della produzione energetica europea. Lo scenario che sta diventando sempre più reale riguarda l’auto-produzione di energia. Sui tetti, negli scantinati o negli sgabuzzini: le case si trasformano via via in mini-centrali elettriche di produzione di energia elettrica che poi viene immessa in rete grazie alle smart grid. Una delle tecnologie più interessanti in questo senso è la micro-cogenerazione (impianti con potenza elettrica inferiore a 50 kW) che viene di solito effettuata tramite motori alternativi a combustione interna, microturbine a gas o motori a ciclo Stirling (a combustione esterna). Tutto questo si traduce nella possibilità all'interno degli edifici di avere una caldaia domestica o condominiale a metano che, oltre a produrre calore per il riscaldamento delle abitazioni, genera anche energia elettrica in surplus che può essere immessa in rete. Si calcola che 100.000 mini-centrali dislocate in domicili privati, ma interconnesse tra loro, possano fornire la stessa produzione di energia di due reattori atomici o di due grandi centrali elettriche a carbone, a prezzi inferiori, con un peso minore sull’ambiente e con un’alta efficienza nel rapporto tra consumo e produzione di energia (circa il 94% contro il 40% delle moderne centrali nucleari o a carbone). La mini-centrale, tra l’altro, è di facile installazione. Non più grande di un frigorifero o di un congelatore, può essere tranquillamente disposta nei locali di servizio di una casa unifamiliare, ma anche nello sgabuzzino di un appartamento. Tra le marche più conosciute di questo tipo di impianti ci sono: EcoBlue (Volkswagen); Ecowill (Honda & Osaka Gas); Senertec e WhisperGen. L'Italia avrebbe avuto anche un vantaggio di prima mossa nello sviluppo di questa tecnologia. Fu nel 1973 infatti che Mario Palazzetti progettò per il Centro Ricerche Fiat il primo micro-generatore chiamato TOTEM (Total Energy Module). La casa automobilistica però decise di non investire in questa innovazione e il brevetto fu venduto. Al momento chi ha investito di più in questa forma di produzione di energia è stato il Giappone dove sono state attivate oltre 50.000 unità che incorporano un motore creato ad hoc dalla Honda. Anche il Regno Unito e gli Usa hanno cominciato a muoversi in questa direzione con l'installazione di alcune migliaia di impianti sovvenzionate dagli incentivi statali. In Germania, la Volkswagen ha attivato una partnership con la compagnia di fornitura di energia LichtBlick per costruire un sistema di micro-cogenerazione, EcoBlue, che utilizza un motore a metano derivato dai propulsori di serie della Golf. L'obiettivo iniziale era quello di installare almeno 100.000 impianti e poi di ampliare ulteriormente il mercato.
FONTE: http://gogreen.virgilio.it/news/ambiente-energia/caldaia-casa-trasformarla-mini-centrale-elettrica_5269.html
E’ stata identificata sull’ultimo pianeta del nostro sistema solare, la presenza di componenti chimici che sono propri dei processi organici. A renderlo noto sono i ricercatori del Southwest Research Institute in collaborazione con la Nebraska Wesleyan University che hanno analizzato i dati raccolti dallo spettrografo montato nel 2009 sul telescopio spaziale Hubble. Lo spettrografo è uno strumento che determina le specifiche di assorbimento dei raggi ultravioletti emessi dal sole da parte degli elementi diffusi sulla superficie di un corpo celeste. L’analisi dei livelli di assorbimento, ha confermato la presenza su Plutone, di diverse tipologie di idrocarburi che sono alla base delle molecole biologiche. Tali molecole si produrrebbero grazie all’interazione tra i raggi solari che arrivano sul ghiaccio e gli elementi diffusi sulla superficie planetaria. Si tratta in gran parte di metano, monossido di carbonio, azoto. L’interazione in atto potrebbe, secondo i conduttori della ricerca, anche spiegare il colorito violaceo emanato dal pianeta. Il mito che vede in Plutone una landa morta e gelida come il “Sovrano del Regno dei Morti” da cui prende il nome, sembra essere dunque parzialmente sfatato. Date le condizioni proibitive che si trovano nello spazio esterno del nostro sistema solare, trovare le premesse della vita è già buon segno. Trovare altrove la vita, sembra un pò meno difficile. di luca brandetti